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La leggenda del villaggio degli Sbilfs

Un tempo lontano si dava per certa la presenza degli sbilfs in molte località della Carnia e della pedemontana friulana.

Si tratterebbe di folletti dei boschi. Di piccole dimensioni, intelligenti, inafferrabili, spesso burloni. Eternamente fanciulli, amanti dei giochi, della danza, della musica avrebbero un carattere fortemente mutevole. Completamente mimetizzati, vivrebbero nel sottobosco, ma anche in stalle e fienili (almeno un tempo). Il loro rifugio prediletto rimarrebbe, tuttavia, il bosco ed in particolare le cavità di grandi alberi. Trascorrerebbero il tempo a farsi burla di noi poveri umani, ma anche aiutare chi, nei boschi, si trovasse in difficoltà.

Si racconta che non siano cattivi, tuttavia agirebbero secondo la tipica incoscienza dei bambini. Sarebbero solitamente invisibili agli occhi degli umani; tuttavia in molti giurerebbero di averli incontrati nel sottobosco o sulla riva di un torrente.

Amarebbero il colore rosso (ma non tutti) e sarebbero ghiottissimi di zûf (una preparazione di latte e farina di mais che si usava un tempo per servire la colazione); questo spiega il motivo per il quale si racconta vivessero in prossimità delle abitazioni di contadini.

Hanno nomi differenti a seconda della zona in cui vivrebbero o, ancora più spesso, il loro nome indicherebbe un particolare aspetto del carattere. C’è così il Licj, intento ad annodare corde e fili che trova nelle abitazioni o il Brau che ama scucire vestiti e tende. Il Bagan, folletto della stalla, che se infastidito rovescerà i secchi colmi di latte e nasconderà gli attrezzi di lavoro. Il Bergul, il cui passatempo preferito è quello di far inciampare la gente. Il Pavâr, servizievole con in contadini e abile agricoltore. Il Maçarot, abilissimo nel fare dispetti. Questo, anticipa la burla con un sibilo, quindi conclusa la beffa si dimena in una stridula risata. Il Massaroul che pur indossando una calzamaglia rossa, non sopporta questa colore. E ancora lo Zuan, girovago, sempre alla ricerca di tesori.

A Forni di Sopra, il Maçarot sarebbe accompagnato da sua moglie, Ridùsela, anch’essa intenta a combinare bricconerie. Nei dintorni di Gemona, sarebbe di casa il Pamarindo intento a bloccare il passaggio allargandosi a dismisura. Tra i più cattivi, vi è il Boborosso, assorto a provocare gli incubi notturni ai bambini e il Cjalciùt, che con tutto il suo peso si siederebbe sulla pancia di chi dorme.

La zona di Paularo sarebbe invece abitata dai Guriùts. Questi, particolarmente burloni e golosi, sarebbero intenti a sottrarre dolci e squisitezze dalle cucine. Si tratterebbe però di gnomi più che di folletti. Ad ogni modo, non si incontrano da tempo; una leggenda parla della loro estinzione. Questi avrebbero costruito un castello per metà interrato nel quale nascondevano un enorme tesoro. Assaltati da un esercito straniero furono tutti uccisi. Il nascondiglio non fu mai rilevato ed il tesoro mai trovato.

Vi sono poi i Gans (su quest’ultimi vi è un’antichissima diatriba tra coloro che li considerano degli sbilfs a tutti gli effetti e chi no), ad ogni modo, i più terribili vivrebbero nella zona di Trava. 

Particolari, infine, gli Sbilfs del Teria, protagonisti di racconti fantastici, e dei quali si conserverebbe ancora il villaggio abbandonato (o così almeno si crede …). La loro leggenda, che risale a tempi molto antichi, è stata recentemente riscoperta. 

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